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Gli screenshot di WhatsApp: legittimi anche senza accertamento

Gli screenshot di WhatsApp: legittimi anche senza accertamento
Gli screenshot prodotti nel procedimento penale sono riconosciuti come prove documentali ex art. 234 c.p.p..
È una realtà oramai consolidata la produzione di messaggi SMS oppure di chat estrapolate da sistemi di messaggistica istantanea (per esempio WhatsApp, ma anche Telegram, WeChat, ecc.) al fine di provare atti persecutori, maltrattamenti, stalking e tutte le altre condotte in cui le comunicazione tra i soggetti sono essenziali per le sorti del procedimento.

Il caso di specie riguarda un soggetto condannato per atti persecutori, culminati nell'incendio dell'autovettura della ex compagna. In particolare, i messaggi erano stati inviati dall'imputato sul cellulare della madre della persona offesa, i quali erano poi stati estrapolati tramite screenshot dalla polizia giudiziaria. Lo stesso imputato, nel corso del dibattimento, aveva ammesso di aver inviato quegli stessi messaggi, ma, non trovandoli più nel telefono, aveva chiesto di provvedere ad un accertamento tecnico. La condanna si basava principalmente sulla produzione degli screenshot di messaggi e conversazioni WhatsApp inviati dall'imputato.

La Suprema Corte ha sempre dato grande rilevanza al regime di ammissibilità che tali messaggi hanno nel panorama delle nuove prove. Con la pronuncia n. 17552 del 6 maggio 2021, la Cassazione penale prosegue nel solco dell'orientamento giurisprudenziale che l'ha preceduta.
Come sopra esposto, nel corso del procedimento, era stata dedotta la violazione della legge processuale e la richiesta di accertamenti tecnici volti a dimostrare l'autenticità dei messaggi prodotti nella mera forma fotografica. Tale richiesta era stata rigettata sia dal Tribunale che dalla Corte d'Appello. La giurisprudenza a favore del ricorrente prevede che tale forma di produzione delle conversazioni come prova sia consentita solo in presenza di un accertamento tecnico, come precisato dalla stessa Corte di Cassazione, con la pronuncia n. 49016/2017. D'altro canto, è necessario precisare che tale pronuncia si basava sulla valutazione del giudice di merito, il quale aveva considerato opportuna una ulteriore verifica per analizzare compiutamente l'attendibilità dei messaggi.

Nel caso in esame, al contrario, la Suprema Corte ha ritenuto il motivo inammissibile in quanto manifestatamene infondato. È oramai cristallizzata la posizione che attribuisce valore documentale ex art. 234 c.p.p. a tali produzioni. La captazione di messaggi e chat attraverso la funzione screenshot rappresenta una forma di documentazione della conversazione ex post e non in corso, la quale si pone in netta distinzione rispetto alle registrazioni o alle intercettazioni. Non è nemmeno assimilabile alla disciplina dell'art. 254 c.p.p. relativamente all'acquisizione della corrispondenza (ex multis Cass. pen., Sez. VI, n. 1822 del 12/11/2019, dep. 17/01/2020, Tacchi, Rv. 278124). La norma dell'art. 234 c.p.p. permette, infatti, l’acquisizione, oltre agli scritti, di ogni altra cosa idonea a rappresentare fatti, persone o cose attraverso la cinematografia, la fotografia, la fonografia e qualsiasi altro mezzo.
La riproduzione tramite screenshot di una conversazione oramai cessata può essere, pertanto, pienamente ammessa come mero documento, al pari di una fotografia o di un qualsiasi altro mezzo idoneo, la cui rilevanza e attendibilità sarà valutata liberamente dal giudice.

La Corte, in conclusione, non ha ritenuto necessario attivare un approfondimento tecnico.
Risulta, dunque, pienamente legittima l'acquisizione come documento di messaggi SMS o di conversazioni intrattenute con sistemi di messaggistica istantanea, mediante la realizzazione di una fotografia dello schermo di un telefono cellulare sul quale gli stessi sono leggibili, tenendo sempre conto che si tratta di un'attività di mera documentazione.


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