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Il rapporto tra il delitto tentato e la violenza sessuale

Il rapporto tra il delitto tentato e la violenza sessuale
Rapporto tra delitto tentato e reato di violenza sessuale: l’irrilevanza dell’erogenità della parte del corpo attinta dalla condotta violenta o minacciosa.
Con una interessantissima pronuncia (n. 4607 del 24 gennaio 2023), la Quarta Sezione penale della Corte di cassazione è tornata ad occuparsi del controverso rapporto tra il delitto tentato, ex art. 56 del c.p. e il delitto di violenza sessuale, ex art. 609 bis del c.p..

Prima di analizzare nel merito il decisum della Corte, appare opportuno ricapitolare brevissimamente l’evoluzione che ha avuto ad oggetto i reati in materia sessuale. Segnatamente, nell’impianto originario del codice penale, suddetti reati erano disciplinati nel titolo IX del II Libro, denominati delitti contro la moralità e il buon costume. Tale titolo era suddiviso in due capi: il primo di questi conteneva i delitti contro la libertà sessuale; il II i delitti consistenti in offesi al pudore e all’onore sessuale. L’odierna violenza sessuale era concepita all’interno del primo capo che disciplinava la c.d violenza carnale; gli atti di libidine violenti; la seduzione con promessa di matrimonio ed il ratto. Dal breve seppur non esaustivo excursus proposto, emerge nitidamente che tali delitti erano posti a tutela della moralità pubblica la cui protezione era assicurata stigmatizzando in sede penale le manifestazioni distorte di un istinto sessuale che si poneva contrario alla morale sociale, sub species morale sessuale. Con la legge n. 66/96 il legislatore ha tuttavia attuato un completo restyling della normativa in tema di reati sessuali, a partire dalla collocazione sistematica, inserendoli nei delitti contro la libertà personale (Titolo XII, capo III, sez. II), ed avallando dunque l’idea di una dimensione individualistica e focalizzata sul rispetto dell’autodeterminazione sessuale: concetto completamente slegato dalla morale publbica e dal pubblico scandalo.

Ciò posto ed entrando in media res, la Corte di Legittimità nella propria decisione ha ribadito il costante orientamento della Cassazione affermando la fattispecie tentata ex art. 609 bis c.p. è slegata da ipotetici contatti applicati su zone erogene del corpo della vittima. Viceversa, può configurarsi anche quando “il contatto sia stato superficiale o fugace e non abbia attinto una zona erogena o considerata tale dal reo per la reazione della vittima o per altri fattori indipendenti dalla volontà dell’agente”. In sintesi, la fattispecie di delitto tentato, posta quale schema logico giuridico generale dei reati c.d. di pericolo, si concretizzerà anche tutte le vote in cui la condotta non abbia determinato una immediata e concreta intrusione nella sfera sessuale della vittima, poiché l’agente non ne ha raggiunto le zone genitali o erogene ovvero non ha provocato un contatto tra le proprie parti intime e la vittima.

L’ampiezza della fattispecie, tuttavia, è temperata dalla analisi della condotta sotto il profilo soggettivo. Secondo la sentenza in commento, infatti, la condotta punita dall’art. 609-bis c.p. è solo quella finalizzata a soddisfare la concupiscenza dell’aggressore con la conseguenza che il giudice, al fine di valutare la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, non deve fare riferimento unicamente alle parti anatomiche aggredite ma deve tenere conto dell’intero contesto in cui il contatto si è realizzato e della dinamica intersoggettiva.


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