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Ladri nello studio legale: è furto semplice o in abitazione?

Ladri nello studio legale: è furto semplice o in abitazione?
La nozione di privata dimora di cui all’art. 624 bis c.p. comprende anche lo studio legale.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 38412 del 27 ottobre 2021, è tornata sul tema dell’opportunità di qualificare il furto avvenuto all’interno di uno studio professionale come furto semplice ex art. 624 c.p. ovvero come furto in abitazione ai sensi dell’art. 624 bis c.p., optando per quest’ultima ipotesi conformemente all’ indirizzo giurisprudenziale ormai consolidato sul punto (cfr., ex multis, Cass., n. 34475 del 21 giugno 2018).

Tale pronuncia risulta particolarmente interessante in quanto ribadisce delle preziose precisazioni in merito alla latitudine della nozione di “privata dimora”.
Nello specifico, può considerarsi privata dimora della persona offesa qualsiasi luogo in cui essa:
  • svolge non occasionalmente atti della vita privata, compresi quelli destinati all’attività lavorativa o professionale;
  • può accedere in qualunque momento della giornata, compresa la fascia oraria notturna;
  • gode dello ius excludendi alios, non essendo il luogo accessibile a terzi senza consenso del titolare.
Lo studio professionale dell’avvocato, godendo di tali requisiti, può dunque essere tranquillamente ricondotto alla nozione di privata dimora, trattandosi di un luogo avente le stesse caratteristiche dell’abitazione in termini di riservatezza.

Tanto affermando, la Suprema Corte si pone in linea con l’interpretazione letterale e sistematica dell’art. 624 bis c.p. fornita dalle Sezioni Unite c.d. D’Amico del 2017, secondo cui la nozione di privata dimora deve ancorarsi a tre indefettibili elementi, quali:
  1. l’impiego dello spazio per lo “svolgimento di manifestazioni della vita privata (riposo, svago, alimentazione, studio, attività professionale e di lavoro) in modo riservato e al riparo da intrusioni esterne”;
  2. la stabilità e “non occasionalitàdel rapporto tra il luogo e la persona;
  3. la “non accessibilità” del luogo da parte di terzi in assenza del consenso del titolare.
Il caso concreto sottoposto al vaglio della Cassazione, in particolare, riguardava il furto di gioielli, denaro e lingotti d’oro custoditi da un avvocato all’interno dello studio professionale perpetrato dal soggetto addetto alle pulizie, il quale si era trattenuto nel garage fino a che tutti i dipendenti si erano allontanati dal luogo ed era entrato in azione.
Il Tribunale aveva condannato l’imputato per furto in abitazione ai sensi dell’art. 624 bis c.p. e la Corte d’appello aveva poi confermato tale sentenza.
L’imputato aveva allora proposto ricorso, dolendosi dell’erronea qualificazione giuridica del fatto, che non poteva essere ricondotto al furto in abitazione in quanto il luogo ove si svolge la vita professionale non è riconducibile alla nozione di privata dimora e comunque non era stato provato che l’avvocato fosse solito compiere presso il proprio studio attività di natura personale, relative alla vita privata e non lavorativa.
Nel dichiarare l’impugnazione inammissibile in ragione della sua genericità, la Corte di Cassazione ha dunque operato le importanti precisazioni sopra riportate, sottolineando peraltro che la destinazione dello studio legale allo svolgimento di vita privata emergeva nel caso di specie proprio dal fatto che ivi erano custoditi gioielli e oggetti personali di valore.


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