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Parente deceduto: intascare la pensione è appropriazione indebita?

Parente deceduto: intascare la pensione è appropriazione indebita?
Si realizza il reato di appropriazione indebita in caso d'incasso della pensione del parente deceduto.
L'azione di prelievo della pensione al posto del parente deceduto non costituisce percezione indebita di erogazioni ai danni dello Stato, se l'evento morte sia stato regolarmente comunicato all'Ufficio Anagrafe del Comune. Infatti è responsabilità degli enti preposti provvedere alla comunicazione agli altri uffici che si occupano della erogazione del trattamento pensionistico. La condotta del congiunto, in ogni caso, che continui a percepire i ratei pensionistici del deceduto sine titulo è più idonea ad integrare il reato di appropriazione indebita.
Intervenendo in questa fattispecie, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20346/2021, si pronuncia sulla condotta all'art. 316 ter del c.p. ("Indebita percezioni di erogazioni a danno dello Stato") per essersi l'imputato indebitamente appropriato del trattamento pensionistico di cui beneficiava la madre, dato che non aveva comunicato all'ente erogatore di tale trattamento l'intervenuto decesso della beneficiaria.
La difesa dell'imputato evidenziava che lo stesso aveva rispettato gli obblighi di comunicazioni che erano propri della sua sfera di azione, ossia all'ufficio dello stato civile del luogo in cui era avvenuto il decesso non oltre le 24. In seguito il responsabile dell'ufficio anagrafe era obbligato alla trasmissione questa informazione all'ente erogatore del trattamento pensionistico per gli adempimenti di competenza.
Il ricorrente invoca, inoltre, la buona fede nell'aver continuato a ricevere le somme sul conto corrente cointestato con la madre. Inoltre la percezione indebita delle somme erogate in favore della madre defunta avrebbe integrato con maggior precisione l'art. 646 del c.p. (ossia l'appropriazione indebita), ma tale reato è improcedibile per mancanza di querela.

Gli Ermellini condividono le motivazioni esposte nel ricorso dalla difesa. La fattispecie astratta di cui l'art. 316 ter del c.p. richiede che la percezione di erogazioni pubbliche sia comunque legata alla presentazione di documenti falsi o all'omissione nella comunicazione di informazioni obbligatorie al fine dell'erogazione di contributi pubblici.
Nel caso di specie, il Comune era stato tempestivamente informato dal privato: ha dunque errato la sentenza nel ritenere sussistente in capo all'imputato un ulteriore obbligo di comunicazione del decesso all'ente erogatore dei ratei di pensione. Di conseguenza, nel caso di specie, manca uno degli elementi costitutivi della fattispecie astratta contestata, rappresentato dall'omissione di informazioni dovute.
La sentenza impugnata, in ordine alla buona fede dell'imputato, ha evidenziato, però, come i ratei erano stati accreditati per 4 anni su un conto cointestato, poi su un altro conto intestato solamente al ricorrente, all'evidenza su richiesta dello stesso ricorrente. Ciò si scontra con l'asserzione che non si sarebbe reso conto degli accrediti.
Il fatto dunque è stato riqualificato nella diversa fattispecie incriminatrice prevista dall'art. 646 del c.p., ma, dato che tale delitto è perseguibile a querela, ciò comporta l'annullamento della sentenza impugnata senza rinvio per originaria mancanza della predetta condizione di procedibilità.

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