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Venezia, il ticket di ingresso "è illegittimo e incostituzionale" per Cacciari: ecco tutti gli aspetti controversi

Venezia, il ticket di ingresso "è illegittimo e incostituzionale" per Cacciari: ecco tutti gli aspetti controversi
La misura annunciata come sperimentale si avvia a diventare strutturale. Esaminiamo insieme gli aspetti controversi del dibattuto balzello comunale

Il contributo d’accesso è la quota introdotta dal Comune di Venezia, imposta ai visitatori occasionali, in alcune specifiche giornate comprese nel periodo dal 25 aprile al 14 luglio 2024, per poter accedere, con o senza vettore, alla Città antica del Comune di Venezia e alle altre isole minori della laguna.
Si tratta di una misura complementare alla regolazione dei flussi turistici nell’ambito territoriale di riferimento, come si legge testualmente al comma 4 dell’art. 1 del regolamento approvato con la deliberazione del Consiglio comunale n. 51 del 12.09.2023 (mod. con delib. n. 71 del 21.12.2023), misura autorizzata nell'ambito della legge di bilancio per il 2019 (L. 145/2018, art. 1 comma 1129).

Il motivo per cui il Comune di Venezia ha deciso di rendere la città a “numero chiuso” è arginare il fenomeno dell’overtourism, che si verifica quando una città supera la capacità fisica o ecologica di accogliere le persone che provengono da fuori, impattando negativamente sul territorio in termini di inquinamento ambientale, visivo e uditivo, sovraffollamento, sporcizia, inflazione.

Chi non paga il biglietto d’ingresso incorre in una sanzione amministrativa che va da 50 euro a 300 euro (oltre ai 10 euro del contributo di accesso), con possibilità di denuncia ai sensi del codice penale e delle leggi speciali in materia a chiunque rilasci dichiarazioni mendaci, formi atti falsi o ne faccia uso nei casi previsti dal citato regolamento.

Il ticket d’ingresso non ha incontrato il benestare dei cittadini. In un’intervista su Adnkronos il filosofo Massimo Cacciari ha giudicato la restrizione e relativa tassazione quale “pura follia, del tutto illegittima e incostituzionale”.

Ma cosa afferma la Costituzione al riguardo?
Il nodo della questione verte essenzialmente sul versante della libertà di circolazione, diritto fondamentale tutelato dalla Costituzione, ma - invero - ad essere in discussione è anche il principio di uguaglianza affermato dall'art. 3 Cost.
Si richiama l’articolo 16, a norma del quale ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salve le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza. Si aggiunge che nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche.

Le ipotesi di restringimento del diritto di circolazione e soggiorno possono, dunque, configurarsi esclusivamente:
> per mezzo di una legge, fonte di rango primario: s’impone, cioè, che il fondamento positivo di una possibile compressione del diritto alla libertà di circolazione e soggiorno sia rinvenuto nella legge formale ordinaria emanata dal Parlamento oppure in un atto avente di forza di legge;
> a causa di “motivi di sanità o di sicurezza”: sul punto, secondo una lettura costituzionalmente orientata, "la sicurezza attiene al mantenimento dell’ordine pubblico, da intendersi quale complesso dei beni giuridici fondamentali o degli interessi pubblici primari sui quali si fonda l’ordinata convivenza civile dei consociati” (cfr. Corte cost. 115/1995).

Di qui i seguenti spunti di riflessione.
In primo luogo, dal dato testuale dell’art. 16 Cost. e dal rimedio giuridico scelto dal Comune di Venezia per allentare il turismo “mordi e fuggi” si osserva:
a. che si configura una violazione del principio di eguaglianza e non discriminazione (tutelato dall’art. 3 Cost.), dal momento che la locuzione "in via generale" adoperata dal Costituente sta a significare, secondo la dottrina maggioritaria, che deve ritenersi illegittima ogni limitazione riferita a singoli individui (nel caso di specie la discriminazione è su base censitaria, fra pernottanti esenti e non);
b. che il regolamento appare, invero, sorretto da ragioni di opportunità, legate all’esigenza di “fare cassa” , piuttosto che da motivi di sicurezza, considerato che, all’art. 6, è prevista la possibilità che la Giunta del Comune di Venezia, nella determinazione del contributo, individui a sua discrezione:
  • soglie giornaliere di presenze, anche in maniera differenziata nel corso dell’anno e/o per categorie di esenzione, superate le quali la misura ordinaria del contributo di accesso può essere aumentata;
  • singoli giorni o periodi dell’anno nei quali applicare il contributo di accesso o una diversa misura dello stesso.

In secondo luogo, se l’intenzione originaria del Sindaco era quella di gestire in maniera sostenibile, con una misura solo sperimentale, flussi turistici eccezionali e straordinari, al fine di proteggere il patrimonio architettonico della città lagunare e garantire, al contempo, vivibilità e tranquillità ai residenti, si rileva l'opportunità della scelta di un mezzo giuridico alternativo al regolamento, giacchè il nostro ordinamento per motivi legati alla sicurezza contempla le “ordinanze” per imporre, con adeguata motivazione, restrizioni eccezionali e limitate nel tempo a fronte di circostanze anche contingibili e urgenti. La temporaneità è annoverata tra i requisiti di legittimità costituzionale dei provvedimenti limitativi della libertà di circolazione da parte della giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 246 del 1996).

Con le ordinanze, ad esempio, il Comune di Milano - per ragioni particolari legate alla gestione del suolo pubblico - ha previsto l’introduzione di pedaggi in alcune aree della città.

Con un’ordinanza poteva stabilirsi che, oltre una certa soglia giornaliera di presenze, si oltrepassa la capacità di carico della città, stabilendolo in via predeterminata (e non astratta) e per un periodo limitato. Una volta superato il tetto massimo, si bloccano tutti i punti di accesso a Venezia, senza necessità di esenzioni farraginose (ad es. per chi entra dal Veneto e dopo le 16,30 – il che vuol dire, come è stato osservato, dare il via libera ai tour etilici che infestano molte serate veneziane).

Ma quando il legislatore prevede il ricorso legittimo all’ordinanza nell’ambito amministrativo locale?
Le ordinanze sono atti atipici consentiti, tuttavia, dal legislatore, sempreché siano rispettati dei vincoli e paletti al fine di garantire il rispetto del principio di legalità. Fra questi rilevano proprio la temporaneità della misura disposta e l'obbligo di motivazione. In riferimento all’amministrazione degli enti locali, i predetti atti sono previsti agli artt. 50 e 54 del Testo unico degli enti locali di cui al D. Lgs. 267/2000.

Nella specie il Sindaco è legittimato ad adottare, con atto motivato:
  • in veste di ufficiale del Governo, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana;
  • quale rappresentante della comunità locale, in relazione all'urgente necessità di interventi volti a superare situazioni di grave incuria o degrado del territorio, dell'ambiente e del patrimonio culturale o di pregiudizio del decoro e della vivibilità urbana, con particolare riferimento alle esigenze di tutela della tranquillità e del riposo dei residenti.
Come si anticipava, il potere di ordinanza deve considerarsi illegittimo, in relazione alle finalità, quando ecceda le finalità del momento e risulti destinato a regolare non temporaneamente, bensì stabilmente una situazione o un assetto di interessi.
La motivazione obbligatoria per tali atti ne consente la sindacabilità in ossequio al principio della trasparenza ed è presidio del principio di legalità e di ragionevolezza.
Quest'ultimo principio postula la coerenza tra valutazione compiuta e decisione presa (rispettivamente, la coerenza tra decisioni comparabili) e che, se gli atti amministrativi non debbono andare oltre quanto è opportuno e necessario per conseguire lo scopo prefissato e, qualora si presenti una scelta tra più opzioni, la Pubblica Amministrazione deve ricorrere alla scelta meno restrittiva; la proporzionalità comporta un giudizio di adeguatezza del mezzo adoperato rispetto all’obiettivo da perseguire e una valutazione della necessità delle misure che si possono prendere (così Consiglio di Stato, Sez. I, parere n. 1901 del 2 dicembre 2022).


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