Panorama Panorama

  • Una giornata celebra la gomma da masticare
    by Mariella Baroli on 30 Settembre 2024 at 4:50

    Il 30 settembre si celebra il Chewing Gum Day, una giornata dedicata all’iconico confetto, una delle abitudini più amate dagli italiani. Secondo lo studio condotto da AstraRicerche per Perfetti Van Melle — l’azienda che per prima ha lanciato la produzione del chewing gum in Italia negli anni Cinquanta — l’89,4 per cento degli intervistati afferma di consumare gomma da masticare, con oltre il 23 per cento che la mastica tutti i giorni o quasi, anche più volte al giorno.In media, un chewing gum viene consumato per oltre un quarto d’ora — 16,53 minuti per l’esattezza. Ma c’è una buona fetta di italiani (17,6%) che ama masticarlo anche più di 30 minuti. Dopotutto, masticare una gomma per la maggior parte dei consumatori rappresenta un momento di piacere (45,3%) e di relax (45,2%) e la scienza conferma come il consumo di un chewing gum abbia influssi positivi sulla percezione dello stress e dell’ansia.Ma se la classica «cicca» è anche frequentemente consumata dopo i pasti, quando è impossibile lavarsi i denti, per ridurre il rischio di carie e placca, l’iconico confetto è anche custode di ricordi, dalle attese trepidanti per una notizia importante (18,1 per cento degli intervistati), passando per le notti trascorse sui libri (10,1%) fino al primo bacio (9,8%).Non solo, a quasi 80 anni dal suo arrivo in Italia, il chewing gum è ancora strettamente collegato con il grande schermo. Il 52,4 per cento, quando si parla di gomma da masticare, pensa subito alle Pink Ladies di Grease, mentre il 40 per cento menziona Julia Roberts in Pretty Woman. Seguono Top Gun e La Fabbrica di Cioccolato, con il magico chewing gum che sostituisce un pasto completo (39,9%) e l’indimenticabile Jessica di Viaggi di Nozze con Carlo Verdone (39,3%).Con una gamma sempre più ampia di formati e gusti, il classico confetto alla menta rimane però il gusto preferito per il 44,8 per cento degli italiani. Seguito dal bubble gum gusto frutta, amato dai più giovani (42 per cento degli intervistati nella fascia 25-34 anni).La storia del chewing gumLa storia del chewing gum risale a migliaia di anni fa, quando le popolazioni antiche masticavano resine naturali di alberi. I Greci masticavano la resina del lentisco, mentre i Maya e gli Aztechi usavano una sostanza chiamata chicle, estratta dall’albero della Sapodilla. Questi materiali venivano masticati sia per igiene orale che per rinfrescare l’alito.Il chewing gum moderno ha, però, origine nel XIX secolo, grazie all’invenzione di Thomas Adams, un fotografo e inventore di New York. Nel 1869, Adams stava sperimentando l’uso del chicle per produrre gomma artificiale, ma non ebbe successo. Un giorno, tuttavia, decise di masticarla e si rese conto che il sapore e la consistenza erano ideali per un prodotto alimentare. Così, iniziò a vendere il suo chewing gum semplice nel 1871, introducendo poi vari gusti, come la liquirizia.Nel 1888, William Wrigley Jr. rivoluzionò ancora una volta l’industria distribuendo il suo chewing gum gratuitamente con prodotti come il sapone, utilizzando tecniche di marketing innovative. Questo portò alla popolarità di brand come Juicy Fruit e Spearmint, che diventarono fenomeni globali.Con il tempo, il chicle venne sostituito da materiali sintetici più economici e stabili, mentre il chewing gum si arricchì di nuovi gusti e proprietà, come gomme a lunga durata e prodotti senza zucchero, fino a diventare un fenomeno di massa e una parte della cultura pop.In Italia, come in molti altri Paesi, il chewing gum si diffuse nel secondo dopoguerra, grazie all’accettazione di stili e modelli di vita importati dagli Stati Uniti. La storia del chewing gum in Italia fu strettamente legata a quella dell’azienda che per prima produsse questo prodotto: la Perfetti. A metà degli anni Cinquanta, i due fratelli Ambrogio ed Egidio Perfetti ebbero la grande intuizione che segnò il primo, decisivo salto di qualità per l’azienda: produrre e lanciare il chewing gum, un simbolo della cultura americana giunto in Italia pochi anni prima insieme ai soldati alleati. Fu così che nacque Brooklyn, conosciuta da tutti come la «gomma del ponte», un’autentica icona culturale che, ancora oggi, continua a vivere.I benefici del chewing gumQuando si pensa al chewing gum, spesso lo si associa alla freschezza dell’alito e alla prevenzione delle carie. Tuttavia, i benefici della masticazione vanno ben oltre la salute orale, estendendosi a diversi aspetti del benessere fisico e mentale. Ecco come masticare una semplice gomma da masticare può fare la differenza in vari ambiti della vita quotidiana.Migliorare la concentrazione con la masticazioneUno dei benefici meno conosciuti del chewing gum è il suo potenziale per aumentare l’attenzione e la concentrazione. Studi scientifici hanno dimostrato che la masticazione favorisca le performance cognitive, aiutando a mantenere alti livelli di attenzione e vigilanza. Questo sembra essere dovuto a un leggero aumento della frequenza cardiaca e a un maggiore flusso sanguigno verso il cervello, che stimola le aree legate alla concentrazione, come la corteccia prefrontale. In altre parole, masticare può rendere più produttivi, sia nello studio che al lavoro.Alleato contro l’ansia universitariaLa masticazione del chewing gum non è solo un aiuto per la concentrazione, ma anche per la gestione dell’ansia, soprattutto quella legata allo studio e agli esami universitari. Il movimento ripetitivo della masticazione ha un effetto rilassante sul sistema nervoso, contribuendo a ridurre lo stress e a migliorare la serenità mentale. In situazioni di forte pressione, come quelle accademiche, questo effetto calmante può fare la differenza, permettendo di affrontare gli esami con maggiore tranquillità e sicurezza.Il chewing gum post partoUn beneficio sorprendente del chewing gum emerge anche nel contesto post-operatorio, in particolare dopo un parto cesareo. Studi clinici hanno dimostrato che masticare chewing gum accelera la ripresa della motilità intestinale, un fattore importante per il recupero post-cesareo. Le neomamme che hanno masticato chewing gum subito dopo l’operazione hanno sperimentato una riduzione del tempo necessario per espellere gas intestinali, con una diminuzione del 60 per cento dei casi di ostruzione post-operatoria e una degenza ospedaliera mediamente più breve di otto ore rispetto a chi non lo utilizzava. Questi benefici sono stati osservati anche in altre tipologie di interventi chirurgici, sottolineando il potenziale terapeutico della masticazione.Supporto durante l’attività fisicaAnche nello sport il chewing gum può avere un impatto positivo. Masticare durante un’attività fisica leggera, come una camminata, può portare a percorrere distanze leggermente più lunghe e a bruciare fino al 5 per cento di energia in più. Questo piccolo ma significativo aumento del dispendio calorico può essere utile per chi cerca di massimizzare i benefici delle attività quotidiane.Contrasto alla «cyber sickness»Nel mondo del gaming, specialmente con l’uso di visori per la realtà virtuale, il chewing gum può alleviare un fastidioso effetto collaterale: la cyber sickness. Questa condizione, simile al mal d’auto, provoca nausea e disorientamento durante le esperienze immersive, ma masticare chewing gum senza zucchero può ridurre questi sintomi. Il sapore e l’azione della masticazione contribuiscono a calmare il sistema nervoso, rendendo l’esperienza di gioco più piacevole e meno stressante.

  • Il sesso della terza età
    by Terry Marocco on 29 Settembre 2024 at 16:30

    Quando nel 1978 fu pubblicato Delirio, atto poetico per beffare il comune senso del pudore e secondo libro di Barbara Alberti, l’editore era Mondadori, prudente e non certo amante degli scandali. La scrittrice ricorda: «Ogni tanto mi telefonava uno di questi signori sobri, educati, intelligenti e mi sussurrava con poca speranza: “Non si potrebbe togliere qualche uccello?”. E io rispondevo, ma in che pagina, in che punto, ce ne saranno trecento. Uno più, uno meno. E allora si rassegnavano». Il poema sconveniente, come lo definì la critica, fece assai scalpore. Per la prima volta si raccontava con asciutta pietà della sessualità dei vecchi, di quello che tutti ritenevano un penoso erotismo, un folle e lascivo balletto prima della fine. Ma quale fine? Oggi la fine è sempre più lontana. Sesso e samba, altro che balere e balli di gruppo nelle stanzone delle Rsa. Che poi si narra che proprio lì succeda di tutto, meglio che in una telenovela turca. Girello e dentiere sono per molti un ricordo. Guai ad attaccare il pisello al chiodo. I vecchi non esistono e se esistono fanno del gran sesso. Eh sì, anche due volte alla settimana. «Gli uomini non mollano mai», sospira la devota sposa di un aitante 94 enne. Alla faccia dei Millennial e delle loro fotine sexy grandangolari mandate per chat. Così in questo clima gaudente, Baldini+Castoldi a fine mese ripubblica quel delirio amoroso raccontato quasi 50 anni fa, che resta un gran bel libro da leggere sulla poltrona reclinabile, ma per épater le bourgeois ci vuol ben altro. Intanto loro sono i «sexual survivor», i sopravvissuti del sesso, come li hanno ribattezzati in Inghilterra, coppie che sanno usare la fantasia e i sex toys meglio dei figli e che, grazie a una vita sessuale attiva, godono anche di ottima salute. Come conferma Alessandro Palmieri, presidente della Società italiana di andrologia: «Non ci sono dubbi, la generazione più in crisi è la Z. I ventenni non hanno rapporti, moltissime coppie giovani li hanno solo virtuali». Non è il caso degli «over», non si ricorre neanche più al Viagra per divertirsi, ma come spiega il professore: «In un quarto di secolo ci sono state grandi evoluzioni. Oggi moltissimi pazienti ci chiedono terapie curative, non la pilloletta a scopo ludico. La parte sessuale è imprescindibile. Il sesso fa bene, ormai è acclarato, a cominciare dalla salute della ghiandola prostatica». La boutique non chiude più, anzi.Le pantere grigie del materasso, secondo recenti dati del National Survey on Sexual Health and Behavior, fanno sesso matto: il 53 per cento degli uomini e il 42 delle donne tra i 60 e i 69 anni, mentre il 43 per cento dei maschi e il 22 delle compagne oltre i 70 anni hanno frequenti rapporti sessuali. Lo racconta Sebastiano Spicuglia, giornalista e scrittore, nel suo coraggioso e poetico Io sono l’orchessa (Baldini+Castoldi), dove una bellissima trentenne, commessa in un supermercato, si innamora perdutamente di un settantanovenne che scopre a rubare tra gli scaffali. E quell’amore diventa tenerezza, ossessione, erotismo carnale e purtroppo critica da parte della società. «Gli anziani vengono visti sempre con pietà, sospetto. Se ti sorridono pensi che vogliono qualcosa in cambio», spiega lo scrittore siciliano. «O sei Flavio Briatore o sei un lurido vecchio. Il pensionato con il pantalone ascellare non può essere apprezzato o amato, se ha una bella storia deve essere per forza un maniaco o è stato raggirato». Il tabù della sessualità senile ancora resiste: «Nel sentire comune è tuttora una cosa “bavosa”. Se ripenso alla scena finale di Morte a Venezia di Luchino Visconti, quando la tinta dei capelli gocciola impietosa sulla giovinezza inutile di Aschenbach, è agghiacciante. Io volevo raccontare una storia che andasse oltre lo stigma». Perché come scrisse Philip Roth in L’animale morente: «Il sesso non è semplice frizione e divertimento superficiale. Il sesso è anche la vendetta sulla morte». Ma qui è la vita a pulsare. Gli over affollano le case dei reality, ballano sotto le stelle, sui social i nonnini mostrano i muscoli e le influencer agée, come la socialite ultraottantenne Nikki Haskell, dispensano consigli su lubrificanti e posizioni. E i fantastici corsi di «silver burlesque» dove le ballerine sfidano allegramente desnude le leggi di gravità, sono una realtà e non solo a Las Vegas.Il porno, da sempre specchio dei nostri sgualciti costumi, lo testimonia da tempo con un’ondata gerontofila. Sono aumentati sia i film con protagonisti anziani, corpi sfatti, carni livide e rughe come in un quadro di Lucian Freud. Sia i milioni di video che hanno come tema «Granny» (la nonna, e non quella che fa la crostata). Le Milf sono già state sostituite dalle Gilf, ossia le over 60. Nell’intimità il tabù è caduto, anche se come spiega Pietro Adamo, massimo esperto (Porno di massa, Raffaello Cortina editore) e professore di Storia delle dottrine politiche all’Università di Torino: «La valanga di video dedicati alla sessualità dei più vecchi va in un’altra direzione. Domina lo spirito verticale, ossia le gioie del sesso non sono affatto paritetiche (sessantenni e coetanee), ma hanno ampie escursioni di età tra i protagonisti (nonni e signorine che potrebbero essere nipoti). Il corpo giovanile resta l’idolo da adorare, l’icona perfetta e insostituibile del desiderio e del godimento». Riflette il filosofo Stefano Zecchi: «Ormai non può più scandalizzare niente che possa apparire trasgressivo di una morale, diciamo, convenzionale. Ma quanto c’è di ipocrita e quanto di realmente consapevole? Tutto appartiene a una generale accettazione del politicamente corretto. Anche la sessualità degli anziani. Ma vorrei capire quanto questi modelli siano veramente accettati. Se si va nella realtà quotidiana delle piccole città quanta cattiveria, pettegolezzo suscitano. Ricordo un bellissimo romanzo, Le nostre anime di notte di Kent Haruf, dove non era affatto semplice per i due innamorati. Lei alla fine rinuncia. Oggi è aumentata l’ipocrisia, si ha paura di andare contro il pensiero dominante. Il sesso tra anziani è sdoganato, ma solo in apparenza». Accettiamo tutto o quasi. Il tabù che resiste è la terza età, come da sempre dichiara Lidia Ravera, che sull’argomento ha scritto libri importanti come Il terzo Tempo (Bompiani): «Nel nostro Paese quello di cui ci si vergogna è l’età, non il sesso. Quando si sarà disperso il luogo comune che vuole che una parte della vita sia da buttare, anche avere delle relazioni amorose e sessuali diventerà normale. Passati i 60 anni ce ne sono altri 30, se si allunga la vita, è giusto che si rilanci su tutto. Una volta si pensava a sopravvivere, non certo a fare sesso. Oggi tante donne a 70 anni ripartono con un nuovo compagno dopo essere rimaste vedove o separate. È cosa ovvia. Ma c’è una premessa: la vecchiaia è una parte della vita. E questa, che sembra una banalità, è qualcosa che nessuno ancora dimostra di aver capito». Per negare la vecchiaia c’è un’infantilizzazione generale che in fondo fa comodo a tutti: «Le persone fanno molto meno l’amore, noi siamo già invecchiati, non facciamo più figli. Anche i nostri desideri sono invecchiati. Siamo giovani-vecchi», osserva Sarah Barberis, scrittrice Millenial, che ben sa districarsi tra amore e disamore. «Inevitabilmente il mercato si interesserà sempre di più agli anziani. E non parlo solo di Cialis, Viagra, lubrificanti vaginali. Si sta considerando l’anziano come il potenziale acquirente di questi tempi incerti. Una volta smaltita la sbornia di consumo, ci sarà forse una fase più consapevole». Per dirla alla Mike, Allegria!

  • Garofalo, nell’anima mistica del ‘500
    by Vittorio Sgarbi on 29 Settembre 2024 at 14:30

    La mostra sul Cinquecento a Ferrara indaga, dopo i grandi maestri del Quattrocento, gli intrecci e le maturazioni parallele di quattro maestri, diversissimi tra loro ma in dialogo costante con i pittori veneziani e quelli fiorentini e romani. Il più curioso, Ludovico Mazzolino, lo abbiamo illustrato. Tocca ora a una personalità meno stravagante, ma di naturale classicismo, partita da Giorgione e Boccaccio Boccaccino per approdare, toto corde, a Raffaello senza perdere quella declinazione padana tipica dei ferraresi. Il momento fatale fu, per tutti, l’arrivo a Bologna nel 1516, dell’Estasi di Santa Cecilia di Raffaello. Il dipinto, concepito a Roma, fu inviato a Bologna per essere destinato alla chiesa di San Giovanni in Monte nella cappella della famiglia di Elena Duglioli dall’Olio. Per la figura di Elena, donna colta, devota e dedita ad opere di carità, si era diffusa in città, a partire dal 1506, una profonda venerazione: la sua vita era accomunata a quella di santa Cecilia per la castità vissuta all’interno del matrimonio e per le visioni mistiche (il suo culto come beata è stato confermato da papa Leone XII nel 1828).Il soggetto ruota dunque intorno all’identificazione tra Cecilia ed Elena espressa nell’iconografia dell’estasi e nei temi collaterali: la rinuncia ai piaceri della vita mondana è rappresentata dagli strumenti musicali rotti e buttati a terra, mentre la santa non vede Dio ma sente la musica celeste nel canto degli angeli in coro. Giorgio Vasari, che è la fonte più antica, assegna la commissione al cardinale Lorenzo Pucci fratello del vescovo Antonio Pucci che, durante il suo soggiorno bolognese, era entrato in rapporto con Elena Duglioli dall’Olio. Dall’arrivo dell’opera la pittura ferrarese, in particolare Benvenuto Tisi da Garofalo, detto il Garofalo, e giovanni Battista Benvenuti, detto l’Ortolano, muoveranno verso l’elaborazione del loro stile. Ortolano parte vicino a Ercole de’ Roberti nel matematico «Compianto» di Baura, mentre Garofalo, partito nell’ambito boccaccinesco, coltiva una sintesi tra le numerose esperienze intercettate come si vede in freschi capolavori come la Pala di Valcesura e la Madonna col Bambino della Pinacoteca Capitolina. lntanto l’interesse di Alfonso era tutto per l’allestimento del camerino dei marmi, opera dello scultore Antonio Lombardo. Già nel 1512 Alfonso è a Roma per incontrare Giulio II, entrato a Bologna nel 1506. Senza esito ma con al seguito alcuni artisti ferraresi tra i quali Garofalo, che videro per la prima volta gli affreschi di Michelangelo e di Raffaello. L’11 luglio salirono sui ponteggi della Cappella Sistina e visitarono le Stanze Vaticane. Il duca fu molto colpito (come scrive Giovan Francesco Grossi a Isabella d’Este), e così certamente i pittori. Lo si capisce davanti al dipinto di Garofalo con «Minerva e Nettuno», datato al novembre del 1512 e già esemplato su modelli romani.Dopo la morte di Giulio II Alfonso a Roma, per salutare il nuovo papa Leone X, a Ferrara la potente risposta al vento di Roma è il sostegno al sensibilissimo Garofalo di Dosso Dossi, documentato a Ferrara nel 1513, per il grande polittico commissionato da Antonio Costabili per l’altare maggiore della chiesa di Sant’Andrea. In Dosso, l’esigentissimo Alfonso trova l’artista perfetto per il suo progetto di modernità, «aggiornato sui fatti veneziani e romani ma declinato secondo un accento locale e strettamente personale. Pellegrino da San Daniele viene lasciato tornare in Friuli e Dosso per trent’anni sarà stipendiato dalla corte e utilizzato per una quantità di imprese». Per il camerino delle pitture nel 1514 arriva a Ferrara il Festino degli dei di Giovanni Bellini (oggi alla National Gallery of Art di Washington). Tiziano è a Ferrara già all’inizio del 1516, e dimora in Castello fino a marzo. Non arriveranno La Festa di Venere di Fra Bartolomeo e l’agognato Trionfo di Bacco di Raffaello. Prima dell’incontro con l’Estasi di Santa Cecilia di Raffaello, Garofalo mostra una travolgente attrazione dossesca con la collaborazione al polittico Costabili. Poi sarà tutto di Raffaello. E il pittore resta a Ferrara durante tutti gli anni Venti, stabilendo una dialettica sulle fonti con Ortolano in costante confronto con le opere di Tiziano e di Raffaello: nel 1522 la Crocefissione per S. Vito (oggi a Brera), nel 1523 il S. Antonio Abate fra i ss. Antonio di Padova e Cecilia per S. Maria Nuova, oggi nella Galleria nazionale di arte antica di Palazzo Barberini a Roma, nel 1524 la pala per S. Silvestro (ora in duomo) e la Preghiera nell’orto oggi a Birmingham, il San Girolamo di Berlino e l’affresco con la Cattura nell’orto per la cappella Massa in San Francesco. Si avvertono anche i primi segnali del linguaggio postclassico di Giulio Romano, a Mantova, nella Madonna del parto con il committente Lionello del Pero, per San Francesco, del 1525-26, il Sacrificio pagano della National Gallery di Londra, del 1526, la Deposizione di Sant Antonio in Polesine oggi a Brera, del 1527, e l’Annunciazione di S. Bernardino nella Pinacoteca Capitolina, del 1528.1530 è l’Apparizione della Vergine a s. Bruno per la Certosa ferrarese.Nel 1531 eseguì ancora le Nozze di Cana per il refettorio del convento di San Bernardino, presso il quale dal 1509 dimorava Camilla Borgia, nipote di Lucrezia. Per il cenobio Garofalo dipinse più di sedici opere, parte delle quali confluita, al pari delle Nozze, all’Ermitage. Nel 1532 la Madonna in trono tra i ss. Giovanni Battista, Lucia e Contardo d’Este (oggi a Modena, Galleria Estense) per Modena tornata sotto Ferrara. Diversa, anche se spesso confusa con la personalità del Garofalo, la figura di Ortolano resta più misteriosa e arcana pur dopo l’intensa lettura di Roberto Longhi nell’Officina ferrarese (1934), la monografia di Giuliano Frabetti del 1966, e il contributo di Federico Zeri (1971). Non si vedranno ora, ma restano capitali il Compianto della Galleria Borghese, del 1517, e la pala con i Santi Sebastiano, Rocco e Demetrio della National Gallery di Londra in origine nella la parrocchiale di Bondeno. Nella sua vicenda critica tutto appare indefinito. Agostino Superbi nel 1620 dice che l’Ortolano fu «pittore eccellentissimo, et famoso nominato per tutta Italia; le cui opere sono state levate, et mandate a Roma […] et in altre Città principali per cose stupende, et eccellentissime, che l’anno fatto immortale sopra la Terra». Così Camillo Laderchi nel 1856 afferma esser «mille volte tentato a supporre che [l’Ortolano] non [sia] esistito se non di nome». La sistematica spoliazione del patrimonio artistico di Ferrara dopo la devoluzione ne fu la evidente ragione. Da allora tutto per Ortolano è difficile. Nessuna sua opera è firmata o siglata. Di una attività maturata in un trentennio è chiaro solo l’ultimo decennio, con il Compianto Borghese (1517), quello di Capodimonte (1521), la Santa Margherita (1524) oggi a Copenaghen e l’estrema, rarefatta Natività Doria-Pamphilj (1527). Tra il 1512 e il 1524, gli archivi a Ferrara indicano un Giovanni Battista Benvenuti, che potrebbe essere un altro. L’unica fonte che attesta la presenza nella città estense di un artista noto con lo pseudonimo di Ortolano è sulla copia del Compianto Borghese di Giulio Cromer, quando l’originale fu chiamato nella collezione del cardinale Scipione: «Io Julio Cromer copiai la presente opera dell’Ortolano nel mese di dicembre dell’anno 1607». Al destino di Garofalo, per armonia e per contrasto, si lega quello del più spirituale e intenso, nella sua probità formale, con fortissima personalità, Giovanni Battista Benvenuti detto l’Ortolano, al quale dedicheremo il prossimo medaglione.

  • Estetica a contrasto nella sesta giornata di Paris Fashion Week
    by Elisabetta Cillo on 29 Settembre 2024 at 13:46

    Da quando Junya Watanabe ha lasciato Comme Des Garçons decidendo di aprire il suo brand omonimo, ha sempre realizzato collezioni visionarie dalla prospettiva alternativa. L’ordinario che trova nuova realtà e si trasforma in straordinario, proprio come nella sua ultima collezione: ispirandosi al mondo dei biker, lo stilista giapponese ha decostruito guanti, cinture, imbottiture e tessuti tecnici che caratterizzano l’abbigliamento motociclistico dando vita a nuovi abiti in stile future tech. Le spalle si fanno esagerate, l’argento che richiama i motori sfila liquido e brillante in passerella su abiti eleganti e complessi mentre un meticoloso lavoro di mix and match fa incontrare più tessuti e fantasie, dai colori neutri ai pattern check. Andreas Kronthaler per la nuova collezione Vivienne Westwood attinge al concetto più puro di femminilità, dando vita prevalentemente ad abiti lunghi dallo stile raffinato. Abbandonando gli appariscenti mix and match, le fantasie a contrasto e gli abbinamenti più improbabili, Kronthaler plasma una nuova versione della donna Westwood, senza però rinnegarne la sua essenza.I tessuti sono leggeri, i colori tenui e le silhouette morbide e confortevoli. Che sia il primo capitolo di una nuova era per il celebre brand di Madame Westwood?Non ci sono mezze misure per Rei Kawakubo che, per la nuova collezione Commes Des Garçons Primavera Estate 2025, ha realizzato delle vere e proprio strutture architettoniche piuttosto che semplici abiti, lasciandoci ancora una volta riflettere sulla moda concettuale su cui ama soffermarsi.La stilista giapponese ha portato in passerella il concetto di spazio e volume, conciliandolo in ogni forma possibile: da abiti vaporosi che ricordano nuvole di cotone a oggetti di uso casalingo come il tovagliolo da portata, portandoci a riflettere sul loro significato nascosto.È un assolo di chitarra elettrica a spezzare il silenzio e a dar vita a giochi di luce che illuminano il défilé, lasciando le prime vibrazioni emanate dalla location propagarsi tra il pubblico accorso per assistere alla Primavera Estate di Ann Demeulemeester. A dividere la passerella un lungo tappeto di gigli bianchi recisi che contrastano con l’atmosfera brutalista del set mentre in passerella sfila un tripudio di abiti black & white, sporcati occasionalmente da sfumature di rosa cipria, di glicine e di grigio. Protagonisti sono gli abiti in stile rock-romantico caratterizzati dall’estetica belga tipica del marchio fondato dalla designer omonima. Pizzi e trasparenze giocano con tessuti impalpabili e chiodi in pelle bianca e nera mentre le gote dei modelli si tingono di rosso acceso e lunghe frange ondeggiano a ogni passo.

  • Io viaggio da solo
    by Marianna Baroli on 29 Settembre 2024 at 13:00

    Negli ultimi anni, il viaggio in solitaria ha conosciuto una crescita esponenziale, rivelandosi non più come un’alternativa di ripiego o una fuga dalla routine quotidiana, bensì come una scelta consapevole per chi desidera esplorare il mondo secondo i propri ritmi e desideri.Sorprendentemente, a dispetto di ciò che l’immaginario comune potrebbe suggerire, non sono le donne a dominare questa tendenza, bensì gli uomini. Ben il 66% di loro, infatti, si dice intenzionato a intraprendere una vacanza in solitaria, dimostrando come la necessità di indipendenza e libertà di organizzazione sia trasversale a ogni genere e generazione. Questa inclinazione non è limitata ai single: anche tra coloro che vivono in una relazione stabile, il 56% manifesta il desiderio di concedersi un viaggio senza la compagnia del partner, simbolo di un’autonomia emotiva e decisionale che riflette il mutato paradigma sociale.Le ragioni che spingono verso questa scelta sono molteplici e variano a seconda del vissuto individuale. Per un terzo dei viaggiatori, la libertà di pianificare la propria avventura senza vincoli emerge come il fattore decisivo, mentre un quinto di loro individua nel viaggio solitario l’occasione perfetta per esplorare finalmente le mete a lungo sognate. In un mondo sempre più connesso e globalizzato, la possibilità di raggiungere luoghi lontani è diventata alla portata di molti, e non sorprende che destinazioni come Tirana, Taranto e, soprattutto, le grandi capitali asiatiche come Osaka e Seoul siano tra le più ricercate dagli italiani desiderosi di partire da soli, come confermano i recenti dati raccolti da Booking.com.Il fascino del Giappone, con il suo mix inebriante di antiche tradizioni e modernità futuristica, si erge come una delle mete predilette dai viaggiatori solitari. Osaka, terza città del Paese per grandezza, rappresenta un polo di attrazione irresistibile grazie alla sua vivace scena culinaria e culturale. La città, famosa per le prelibatezze della cucina locale come l’okonomiyaki e il takoyaki, non solo cattura i sensi dei visitatori, ma offre un perfetto connubio tra le atmosfere frenetiche delle grandi metropoli giapponesi e la quiete dei suoi santuari e templi antichi, che offrono riparo dall’assordante vita urbana. I viaggiatori solitari, in particolare, trovano in Osaka un luogo che stimola la riflessione, mentre si muovono tra i suoi mercati e le strade illuminate da migliaia di luci al neon, liberi di immergersi in esperienze senza dover sottostare ai compromessi che spesso accompagnano i viaggi di gruppo.Accanto al Giappone, la Corea del Sud si sta affermando come una destinazione emergente per chi viaggia da solo. Seoul, con la sua dinamica mescolanza di storia millenaria e avanguardia tecnologica, incanta i viaggiatori con un’offerta che spazia dai maestosi palazzi imperiali fino ai quartieri ultramoderni di Gangnam, dove la moda e l’architettura riflettono una società in costante mutamento. La capitale sudcoreana non è solo una meta da visitare, ma un’esperienza da vivere a tutto tondo, in cui tradizione e innovazione si fondono, offrendo al viaggiatore solitario un ventaglio di esperienze che spaziano dalla visita dei suggestivi templi buddisti immersi nella quiete delle colline circostanti, alle notti trascorse a esplorare i vivaci mercati notturni, dove sapori esotici e colori brillanti fanno da cornice a un’esperienza sensoriale unica.Nonostante il viaggio in solitaria possa essere visto come un percorso di scoperta interiore, alla ricerca di una maggiore consapevolezza personale, ciò che spinge molti italiani verso questa scelta non è tanto il desiderio di un’esperienza trasformativa quanto, piuttosto, la volontà di ritagliarsi un momento di pace e tranquillità, lontano dai ritmi frenetici della vita quotidiana. Il viaggio in solitaria offre, dunque, l’occasione di dedicarsi completamente a sé stessi, liberi da vincoli e compromessi, con il valore aggiunto di poter personalizzare l’esperienza in ogni suo aspetto. Se, da un lato, mete più tradizionali come la Scozia e l’Islanda continuano a esercitare il loro fascino, dall’altro si assiste a un crescente interesse verso destinazioni meno convenzionali, ma altrettanto affascinanti e ricche di suggestioni, come l’Albania e alcune città italiane, tra cui spicca Taranto, che rappresentano vere e proprie gemme ancora relativamente inesplorate dal turismo di massa.Con un terzo dei viaggiatori italiani disposti a spendere oltre 1000 euro per realizzare il proprio sogno di una vacanza in solitaria, il settore turistico è pronto ad accogliere questa nuova ondata di esploratori moderni. Le piattaforme di prenotazione, come Booking.com, hanno già risposto a questa tendenza offrendo soluzioni sempre più personalizzate, capaci di soddisfare le esigenze di chi desidera viaggiare in solitaria, mettendo a disposizione una gamma di opzioni che spaziano dagli appartamenti privati agli ostelli, dai bed and breakfast agli hotel di lusso. I viaggiatori, inoltre, dimostrano una sempre maggiore attenzione alle offerte più convenienti e alla facilità di prenotazione, utilizzando piattaforme che permettono di combinare alloggio e volo in un’unica soluzione.Come sottolinea Alberto Yates, Regional Director di Booking.com, «Stiamo assistendo a un cambiamento radicale nelle preferenze di viaggio, con sempre più italiani che scelgono di viaggiare da soli per assicurarsi una vacanza che rispecchi veramente i loro desideri. Questa nuova era del viaggio rappresenta una straordinaria opportunità per l’industria turistica, che può adattarsi e crescere insieme alle esigenze di una platea di viaggiatori sempre più autonoma e diversificata».

  • Cartelli choc, slogan antisemiti e minacce contro la Segre e «gli agenti sionisti» al corteo Propal di Milano
    by Stefano Piazza on 29 Settembre 2024 at 12:51

    Quanto successo ieri a Milano e Roma è qualcosa che non si può più accettare ed è ora di dire basta. Circa 300 manifestanti hanno sventolato le bandiere di Hezbollah e hanno osservato un minuto di silenzio in ricordo di Hassan Nasrallah, leader del “partito di Dio”, ucciso durante un raid israeliano. Ma non solo: oltre ai consueti slogan antisemiti, sono apparsi cartelli con tanto di fotografie «degli agenti sionisti». Quello che si è visto alla Festa Nazionale della Riscossa Popolare, che si è tenuta sabato 28 settembre nel quartiere di Gratosoglio, a Milano, è qualcosa che supera ogni immaginazione. Oltre ai rappresentanti del “Partito dei Comitati di Appoggio alla Resistenza per il Comunismo” (Carc), sul palco è intervenuto anche Gabriele Rubini, ex chef televisivo meglio conosciuto come Chef Rubio. Non è certo la prima volta che Rubini partecipa a eventi organizzati dal Carc, ma ieri, dal palco di Gratosoglio, ha incitato all’azione violenta contro coloro che definisce «collaboratori sionisti», ovvero quelle figure politiche culturali, imprenditoriali e giornalistiche già oggetto delle liste di proscrizione pubblicate due volte dal “Nuovo Partito Comunista”: «Se qualcuno non dorme la notte e sa individuare muri dove abitano collaboratori sionisti, con 3,80 euro di spray può iniziare a scrivere», ha dichiarato Rubini, già oggetto di innumerevoli denunce penali e procedimenti giudiziari. A questo proposito, va ricordato come Rubini, durante un intervento lo scorso agosto al raduno dei Carc di Pontedera, abbia affermato: «I primi bersagli e responsabilità della resistenza continentale a sostegno del popolo palestinese devono essere i giornalisti. Devono vivere nella paura quotidiana, temendo per la loro vita e per la sicurezza dei loro figli. Se ci fosse un movimento unito globale, dovrebbe colpire prima di tutto i media». Quanto avvenuto ieri non è che l’ennesima dimostrazione di come l’estrema sinistra violenta ei movimenti pro-Hamas e pro-Hezbollah si siano uniti nell’ambito di un pericolosissimo progetto eversivo che fino a oggi non è stato pienamente compreso, dato che queste le manifestazioni vengono permesse e personaggi come Gabriele Rubini sono ancora a piede libero. Gabriele Rubini, in cerca di visibilità, aveva denunciato nel maggio scorso di essere stato aggredito da alcuni sconosciuti, sostenendo che a picchiarlo fosse stata «una squadraccia di ebrei sionisti». Tuttavia, anche in questa circostanza, le sue accuse si sono rivelate infondate, poiché non sono emerse prove a sostegno della sua tesi. Appare chiaro che l’aggressione deve essere attribuita a questioni di carattere privato che nulla hanno a che fare con la comunità ebraica o loro simpatizzanti. Il presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (Ucei), Noemi Di Segni, ha dichiarato: «Esprimiamo anzitutto vicinanza e solidarietà alle persone che, durante le manifestazioni Propal che si sono svolte a Milano, sono state prese di mira proprio per il loro impegno a tutela dei valori più fondanti della nostra Italia, ribadendo l’impegno a tutelare in ogni sede la sicurezza ea porre un freno a ogni abuso delle libertà. È preoccupante che nelle città più importanti d’Italia si possa liberamente inneggiare al terrore e ai massacri. Avvicinandoci al 7 ottobre, siamo chiamati a un bilancio, anche morale, di quanto avvenuto e ribadiamo il diritto di Israele a difendersi dopo mesi di attacchi subiti con un’azione che mira esclusivamente a estirpare il terrorismo, a beneficio dell’intera regione e della futura sicurezza delle nostre città e libertà degli stessi illusi e miopi manifestanti che abbiamo visto ancora oggi. L’Italia seriamente di trovarsi al proprio interno rischia di un raggruppamento ideologico che mina la democrazia, elemento questo da non sottovalutare»Anche l’On. Sara Kelany, responsabile del Dipartimento immigrazione di Fratelli d’Italia, ha espresso il suo sdegno: «Durante la manifestazione Propal, Milano si è consumato un carosello di odio e violenza nel quale sono stati messi nel mirino quelli che loro lanciato “agenti sionisti da colpire”. Le bandiere rosse e la falce e il martello hanno sventolato accanto alle bandiere palestinesi e a cartelli con i volti di coloro che hanno l’unica colpa di essere amici di Israele. Da mesi ormai denunciamo che le associazioni Propal spacciano per antisionismo posizioni antisemite, e oggi ne abbiamo piena conferma. Questa deriva, che si sposa con le liste di proscrizione antisemita lanciate dal nuovo partito comunista, è grave, pericolosa e da arginare senza tentennamenti da parte di tutta la politica. Esprimo profonda e sincera solidarietà a Liliana Segre e a tutti coloro che sono stati esposti alla pubblica gogna».Amarezza esprime Davide Romano, direttore del Museo della Brigata ebraica: «Siamo stufi di questa ennesima manifestazione di odio con annesse minacce personali perfino alla senatrice Liliana Segre. Mi domando come sia possibile che questo governo intervenga su tutto (dai rave party a chi manifesta in maniera non violenta nelle carceri), ma lasci liberi questi manifestanti di attaccare chi ha già pagato un prezzo incalcolabile nella propria vita ad Auschwitz. Questa gente è così spietata (alcuni di loro anche pregiudicati) da sostenere esplicitamente una organizzazione terroristica e mafiosa come Hezbollah, dedita, secondo la DIA, anche al narcotraffico e al riciclaggio. Sarebbe ora di fermare queste continue minacce in stile mafioso rivolte da diversi manifestanti Propal a cittadini italiani che non la pensano come loro».@riproduzione riservata

  • Volga, nel cuore di tenebra della Russia
    by Giorgio Gandola on 29 Settembre 2024 at 12:30

    «La morte è la chiave per capire chi sono i russi». Per cogliere il messaggio bisogna arrivare a Rzev, dove il Volga fa tre ampie curve sonnacchiose, e fermarsi davanti al monumento al Soldato sovietico eretto da Vladimir Putin quattro anni fa: 25 metri di bronzo fuso visibili da dieci chilometri di distanza per ricordare la battaglia dimenticata, un milione e 300 mila uomini morti per fermare le armate di Hitler. È l’altra Stalingrado. Quella mattanza fu espunta anche dai libri di scuola perché il sacrificio di vite umane era stato così spaventoso da offuscare il mito stesso della vittoria. A valle avevano disposto reti da pesca per bloccare migliaia di corpi che scendevano con la corrente.«È il memoriale realizzato dopo l’annessione della Crimea, con il quale Putin ha voluto dire ai russi che lui, la battaglia, non l’ha dimenticata». A parlare è Marzio Mian, giornalista di stampo chatwiniano che secondo la tradizione dei grandi inviati del passato (Luigi Barzini, Egisto Corradi, Ettore Mo) per spiegare la Storia non va nei talk show televisivi ma nei luoghi dove è avvenuta. È autore di un libro rivelatore, Volga Blues, sottotitolo Viaggio nel cuore della Russia (Feltrinelli Gramma), frutto prezioso di una spedizione unica lungo i 6 mila chilometri del grande fiume considerato la fonte battesimale di un insieme di popoli, dalla sorgente alla foce, da San Pietroburgo ad Astrakan sul mar Caspio. Dove Europa e Asia si incontrano o si dividono a seconda che la bussola della Storia russa indichi Oriente oppure Occidente.«Con quel Soldato a guardia del Paese», racconta Mian, riuscito a compiere l’impresa mentre tuonano i cannoni poco più a occidente, «Putin ha inteso celebrare la fine del lutto per la morte dell’Unione Sovietica e l’inizio del suo Grande Gioco: l’apertura delle ostilità per dimostrare che, a partire dall’Ucraina, lo spazio appartenuto all’impero non può ritenersi altro che il cortile della Russia di oggi. E che essere un Paese ex Urss non significa avere archiviato né la Storia né la Geografia. Ma c’è un altro aspetto importante da considerare. Lo scultore Andrej Korobcov aveva pensato la statua rivolta a Oriente, verso Mosca, e invece Putin ha ordinato che il Soldato fosse orientato a Ovest, versante Nato. Sottigliezza che la stampa polacca e quella baltica, a suo tempo, non hanno mancato di notare».Volga Blues perché la colonna sonora del viaggio è la musica della terra, un senso di malinconia che ha accompagnato l’autore e le due guide Vlad e Katja dentro il cuore di tenebra della Russia in guerra con l’Occidente. Una goccia del Volga, dicono, impiega circa un mese per scendere dalle sorgenti, sul Rialto del Valdaj, fino al delta di Astrakan. E un mese è durato il loro viaggio. «È il più lungo corso d’acqua d’Europa, con la fonte e la foce a fusi orari diversi, l’una alla latitudine del Mare del Nord, l’altra allo stesso parallelo del Lago di Como. Quando siamo partiti, nel sottobosco della taiga, sotto i larici e gli abeti c’erano i bucaneve, i primi mirtilli e le fragole selvatiche. Giunti ad Astrakan, la steppa era tostata dal sole, sul delta sbocciavano i fiori di loto, le angurie erano già mature e dolcissime».Hanno attraversato Tver, Dubna, Rybinsk, Jaroslavl, Nižnij Novgorod, Kazan, Uljanovsk, Samara, Saratov, Volgograd: 6 mila chilometri senza mai incontrare un solo straniero occidentale, senza ascoltare altra lingua che il russo. Una condizione mai provata prima. «Eppure abbiamo visitato grandi città dove si fanno affari, dove la vita va avanti», sottolinea Mian. «Sembra un paradosso, ma forse la Russia non è mai stata così prospera come oggi. È anche la Russia paranoica di Putin, intrisa di retorica e soffocata dal controllo dell’Fsb, i servizi di sicurezza eredi del Kgb; si vive in un costante stato d’inquietudine, che non di rado può diventare panico. L’aspetto più evidente è che quell’immenso Paese ci ha voltato le spalle perché non vuole essere contaminato. La sua è una lotta per la sopravvivenza. I russi sanno che se dovessero essere intaccati dal nichilismo occidentale che nega identità e tradizione, per loro sarebbe la fine. Anche i progressisti, che non accettano l’approccio guerrafondaio di Putin, ritengono che oggi la cultura occidentale sia demoniaca. Una parola che si sente spesso laggiù».I grandi fiumi dicono le cose come stanno. Scorrono in un loro tempo assoluto che pare lambire distrattamente la storia degli uomini, ma sono testimoni capaci di consegnare implacabili verità. Per questo Mian, per capire le verità nascoste della Russia, ha ascoltato il Volga. Come aveva ascoltato il Tamigi per capire la Brexit, il Mississippi per cogliere i fremiti trumpiani dell’America, il Tevere per rievocare pregi e difetti dell’Italia immobile e i ghiacci artici per interpretare la guerra bianca fra le grandi potenze per il possesso delle terre rare. Volga Blues è fascino puro. Lo innesca una conversazione con il direttore del museo Hermitage di San Pietroburgo, Michail Piotrovskij, che sottolinea: «La Russia non esisterebbe senza il Volga. È l’energia della patria, totem e destino. È l’autobiografia di un popolo. Quella placida massa d’acqua incorpora tutti, ci vivono genti di venti nazionalità diverse, dai popoli ugro-finnici ai nomadi meridionali. L’Islam, pensiamo al Tatarstan, è religione della tradizione e dell’identità russe quanto il cristianesimo ortodosso. In Europa, in America, vi riempite la bocca di multiculturalismo, ma le vostre città scoppiano d’odio. Noi, senza chiacchiere, includiamo tutti perché siamo una civiltà imperiale».Dentro quel viaggio scritto, con in copertina il volto di un giovane diacono, ci sono le fiabe di Alexandr Puškin, la disperazione dei fratelli Karamazov di Fëdor Dostoevskij, il principe Myskin nell’Idiota, lo zio Vanja di Anton Cechov, Pierre Bezuchov di Guerra e Pace di Lev Tolstoj; un pozzo di diamanti per la creatività russa, che ha stregato compositori come Modest Musorgskij, Nikolaj Rimskij-Korsakov e Igor Stravinskij. E poi ci sono i pope del patriarca Kirill, con il loro carisma, custodi dell’anima russa, schierati con lo zar di oggi. I missili e i soldati diretti in Ucraina vengono spruzzati d’acqua santa dai prelati-crociati: come a dire che i soldati combattono sulla terra, gli angeli li benedicono dall’alto.«È stato un viaggio con due propellenti: il bisogno di capire e il bisogno di spiegare», tira le somme Marzio Mian. «Anche perché da noi regna il pensiero unico. In Europa la Nato è diventata un dogma, azzardare critiche significa essere emarginati. Questo non accade nel mondo americano (io ho il passaporto statunitense) dove anche fra i liberal il dibattito è aperto, significativo, e le critiche sull’operato dell’amministrazione sono rispettate». All’eterno quesito sulla diffidenza russa nei confronti della democrazia, il grande padre liquido risponde con una frase sentita mille volte durante il viaggio nel cuore di tenebra: «Fuck the nineties». Si riferisce agli anni Novanta delle libertà e degli eccessi, quelli di Boris Eltsin. «È stato tra i periodi più drammatici della loro storia. Si sparava per le strade. Solo con Ivan il Terribile e dopo la Rivoluzione, durante la guerra civile, la Russia è stata così vicina al disfacimento. Per ricordarla i vecchi usano la parola “smuta”, il periodo dei torbidi». Lo scrittore francese Emmanuel Carrère, innamorato di quel grande paese, spiegò in questo modo alla fiera del libro di Torino la passione per l’uomo forte. Laggiù fra le mille anse del fiume rimbalza un detto da pelle d’oca: «Incontrare la morte non fa paura se sei attorniato da russi». Lo traduce Marzio Mian, arrivato con qualche certezza in più alla foce del Volga, dove la steppa è tostata dal sole: «La morte può essere orrenda, ma non se serve al popolo russo. Questa è la radice del loro patriottismo. Come dire: siamo meno pratici di voi, ma abbiamo un cuore più grande».

  • Le pillole di galateo di Petra e Carlo: le porcellane giapponesi a Palazzo Biscari di Catania
    by Carlo Cambi on 29 Settembre 2024 at 9:30
  • Il coach della Seduzione. E il tuo lui, o la tua lei, tornerà
    by Elisa Rovesta on 29 Settembre 2024 at 9:00

    Ti ha lasciato? Avete litigato e non ti richiama? Niente paura, asciuga quegli occhioni tristi e chiama un vero professionista dell’amore, colui che ti insegnerà tutte le tecniche per riconquistare il tuo lui o la tua lei: il coach della seduzione.Basta con i pianti e i rimorsi. È ora di smettere di trascinarsi per casa controllando continuamente il telefono. E togliti quelle pantofole di spugna, sù coraggio: puoi risalire la china grazie al tuo coach di seduzione. Passo dopo passo, lui ti affiancherà, ti seguirà e ti darà tutte le dritte necessarie per ottenere il meglio dalla tua voglia di riconquista. È sufficiente cercare in rete: ci sono vere accademie e corsi di coaching di seduzione online, con un unico obiettivo: trasformarti fino a quando non sarai più la stessa persona di oggi, ma sarai esattamente ciò che desidera il tuo lui o la tua lei.In pratica, dimenticherai te stesso, ma ha forse importanza di fronte al fatto che una persona che non ti vuole così come sei tornerà da te? E lo farà con i migliori sentimenti, perché ha scoperto di amarti per ciò che non sei, ma che ora sei, anche se di fatto non lo sei. Facile, no?Il coach della seduzione ti insegnerà le parole giuste da utilizzare e tu imiterai una sorta di tecnica di ipnosi conversazionale. Il tuo lui tornerà, parola del coach della seduzione.Da vero professionista, ti insegnerà che devi credere in te stesso, e fin qui poco male ma poi devi dimenticare te stesso e pensare solo a ciò che desidera il tuo partner, tramutandoti in tutto ciò di cui non potrà più fare a meno. Se, ad esempio, al tuo amato piacciono le persone bionde, tu dovrai ossigenarti i capelli. Se per caso hai la carnagione scura e i capelli neri, non preoccuparti: anche se sembrerai Billy Idol nel corpo di Lenny Kravitz, otterrai il risultato che vuoi. Tornerai con lui (o con lei) anche se non ti vuole più, perché il coach di seduzione te lo riporterà a casa. È solo una questione di numero di sessioni di coaching, poi sì, lo riavrai. Romantico, vero?E se pensi al film “Amarsi” con Meryl Streep e Robert De Niro, sappi che è troppo sentimentale quel loro incontro sul treno. Il coach di seduzione te lo impedirebbe: devi essere lucido, riflettere. Pensi al quadro “IlBacio” di Gustav Klimt? Troppo fisico. Devi sedurre, non puoi cadergli tra le braccia così, subito. Sarà il tuo lui o la tua lei a cadere tra le tue braccia.Alla fine, quando l’ex ti vedrà così cambiato, con i capelli biondo platino su una carnagione scura, e ascolterà la tua dizione perfetta mentre pronunci parole come: “dimmi pure caro, sono qui solo per te”, potrebbe persino chiederti autografi. E tu potresti persino firmarglieli, anche se forse non saprai più con quale nome: il tuo, Billy Idol o Lenny Kravitz?

  • Cuciniamo insieme: filettini al melograno
    by Carlo Cambi on 29 Settembre 2024 at 8:30

    Abbiamo deciso di rispolverare un abbinamento antico quanto il melograno che si coltiva da almeno cinquemila anni: quello con la carne di maiale. In cucina, dunque. Se ci fermassimo a considerare l’intelletto della natura così come fecero i nostri antichi lo stupore ci consentirebbe di riappropriarci di uno stile di vita meno disordinato. Pensiamoci: prima di tornare negli inferi dal suo sposo coatto Ade, Persefone, che resta “imprigionata” sotto terra per sei mesi prima di tornare come Primavera a risvegliare il pianeta, lascia agli uomini in eredità questo frutto che è simbolo di rinascita, di fertilità, di speranza. È uno spicchio di estate mentre si annuncia l’inverno e anche dal punto di vista nutrizionale ha proprio questa “funzione”. È il frutto di Afrodite, di Venere, per i cristiani è il frutto mariano per elezione e per gli ebrei la melagrana è il simbolo della rettitudine. Perché tanto potere in un solo frutto? Per il suo colore – gli egizi lo consideravano uno die più potenti medicamenti proprio perché simile al sangue – per la complessità della struttura o forse perché arriva a vitalizzare l’autunno visto che si raccoglie fino a novembre inoltrato. Tante virtù non potevano che bussare alla cucina e noi abbiamo deciso di rispolverare un abbinamento antico quanto la melagrana che si coltiva da almeno cinquemila anni: quello con la carne di maiale. In cucina, dunque. Ingredienti – 800 gr di filetto di maiale, 150 gr di pancetta stesa o di bacon, una melagrana di generose dimensioni, 4 cucchiai di olio extravergine di oliva di prima qualità, 80 gr di burro di primo affioramento, 8 foglie di salvia freschissime, sale e pepe qb. Procedimento – Massaggiate con l’extravergine sale e pepe il filetto di maiale, ricavatene otto medaglioncini di circa un etto l’uno. Foderate completamente ogni fetta di filetto, che avrete ricoperto con una foglia di salvia, con la pancetta. Ora aprite la melagrana, sgranatela tenendo da parte un paio di cucchiai di chicchi, e frullate il resto passando a un colino fine il succo ricavato. Scaldate in una padella extravergine e burro e appena il grasso ha preso calore passate in padella i filettini cuocendo un paio di minuti per parte. Ora irrorate la carne con il succo di melagrana rigirando i filettini di quando in quando per altri 4 minuti circa facendo ritirare il sughetto di cottura. Servite – dopo aver aggiustato se serve di sale e pepe – guarnendo con chicchi di melagrana e nappando col fondo di cottura. Come far divertire i bambini – Affidate loro il compito di sgranare la melagrana. Un consiglio: abbondate nella dimensione del frutto perché vedrete che i bambini una volta assaggiati quei chicchi vermigli ne faranno una scorpacciata. Abbinamento – Anche per celebrare i cent’anni del Consorzio abbiamo scelto un Chianti Classico. Vanno bene tutti i rossi purché non eccessivamente tannici e corposi.

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